Nella didattica tradizionale questa parte della didattica legata all’educazione alimentare viene solitamente proposta allo studente con approccio frontale e con la somministrazione di dati e formule, insolite per la disciplina, che tendono a rendere quello del calcolo del fabbisogno energetico e della programmazione di un pasto tipo che tenda a soddisfarlo, uno degli argomenti più tediosi dell’intera disciplina.
Dare al ragazzo la possibilità di dire la sua riguardo i propri gusti alimentari, calibrati però con le sue reali esigenze energetiche e inquadrati in un contesto sociale legato alla preparazione e somministrazione del piatto da parte degli operatori di una mensa collettiva, non può far altro che farlo sentire parte di un processo di cui lui è, o è stato qualche anno prima, il principale fruitore.
Nella scelta di un pasto per ragazzi più giovani, viene investito del ruolo sociale di responsabilità della salute dei più piccoli e nello stesso tempo ricorda un periodo appena vissuto dal quale ha tratto esperienza. Con il pretesto di occuparsi dell’infanzia ricorda a se stesso le regole della sana alimentazione che nella fase adolescenziale si tende a dimenticare.
Inoltre, gli spunti tratti da tradizioni di culture diverse possono incuriosire, spingere all’approfondimento e alla ricerca, ampliando gli orizzonti della cultura alimentare e non solo.
Con il peer-learning gli alunni più motivati, con conoscenze personali pregresse o che riescono ad applicare in modo corretto le indicazioni già presentate in classe, possono correggere o almeno indirizzare, senza necessità dell’intervento del docente, le scelte alimentari sbagliate di qualche collega di gruppo.
E’ interessante come, dal confronto e dalla discussione fra pari, il concetto di soglia del fabbisogno energetico e le logiche che sottendono alla pianificazione di un pasto possa risultare quasi innato. Con la didattica tradizionale il ragazzo non riesce ad intuire in modo costruttivo il concetto se non con l’aiuto dell’insegnante.